Quando abbandonarsi alla Divina Provvidenza?
La separazione tra il libero arbitrio, l’altruismo e la negligenza non è costituita da muri di cemento armato, ma da barriere sottili come lo spessore di un’ala di mosca. Siamo noi a dover rilevare e gestire, grazie alla nostra sensibilità umana, i nostri stati mentali e umori interiori.
Quando sappiamo in cuor nostro di aver adempiuto a tutto ciò che poteva essere fatto, rischiando ragionevolmente ma senza eccessivo pericolo dovuto a un’ostinata pervicacia, rimettersi alla Divina Provvidenza é tipico di chi ha maturato la comprensione delle “questioni” di Terra e di Cielo.
Rimettersi, invece, alla Divina Provvidenza per pigrizia, per mancanza di volontà, per assenza di coraggio e incapacità di mettersi in discussione è detto fatalismo.
Noi dobbiamo preoccuparci e adoperarci per tutto ciò al quale possiamo contribuire con una soluzione, in rapporto ai nostri mezzi e al nostro status, pur sempre consapevoli che noi non siamo Dio e non possiamo arrogarci quanto in Suo potere e Suo dovere.
Altresì, abbiamo una funzione che dobbiamo esercitare e non astrattamente addossare alla Divina Provvidenza, che ha già un proprio ruolo, usando il pretesto per ritirarci di buon ordine e delegare le nostre responsabilità.
Solo in caso estremo siamo legittimati ad arrenderci e invocare Dio nel momento del bisogno, chiedendo il Suo intervento risolutore; questo gesto di abbandono nelle braccia del Signore assume un alto valore ed è molto bello, ma ricorrervi senza esserci prima fatti carico dei nostri impegni e doveri sarebbe alquanto sospetto…
Matsya Avatar das (Marco Ferrini)