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La storia di Re Yayati: spegnere il desio mondano

Nel dharma, la trasformazione dei desideri...

Cari devoti,

i miei omaggi, glorie a Guru Maharaja Matsyavatara Prabhu e a Shrila Prabhupada. Jaya Shri Shri Radha Govinda Deva!

La storia di Re Yayati: quanti tra voi la conoscono?

Anche a quelli che già la conoscono, e a maggior ragione agli altri, consiglio vivamente l'ascolto di una lezione che il nostro Guru Maharaja ha tenuto a Bhaktivedanta ashrama una settimana fa, precisamente il 12 settembre.

Sembrava di essere entrati anche noi dentro al Mahabharata: il racconto che Guru Maharaja ci ha fatto narrandoci alcune delle vicende più importanti che vedono protagonista re Yayati ci ha trasportati in quel mondo il cui perno è il dharma, nelle vite di quei grandi personaggi, nei loro cuori, nelle loro debolezze e sventure, nelle loro lotte e sofferenze e anche nelle loro grandi realizzazioni spirituali.

Inizia il racconto del nostro Maestro, che ci legge e commenta il Mahabharata...

“Quale grande maledizione viene lanciata a Re Yayati che tradisce la sua sposa Devayani, accompagnandosi con l'ancella di costei, Sarmistha? Shukracarya, padre di Devayani e guru degli asura, proferisce questa maledizione:

“O re scortese, poiché tu, conscio del dover prescritto, al reo piacer cedesti che ti prese, lunga vecchiaia d'ogni tedio piena su te all'instante scenderà per pena!”...

Re Yayati e Devayani

 

Così Yayati perde immediatamente la gioventù e in un istante diventa vecchio decrepito. Ma così grida a Shukracarya:

“Ah, della gioventude, e dell’affetto della mia sposa non son sazio ancora; il tuo favor mi rendi, o santo Usana, e la vecchiezza, ahi, tien da me lontana”.

Comprendendo che la maledizione che aveva lanciato a Yayati, sarebbe stata anche una maledizione per sua figlia che si sarebbe ritrovata con un marito che non avrebbe potuto più darle nessun piacere o gioia al cuore, Shukracarya permette a Yayati di cedere la sua vecchiaia ad uno dei suoi cinque figli, qualora uno tra questi avesse accettato questa sua richiesta. In cambio della gioventù, Yayati avrebbe nominato quel figlio erede al trono.

Rispose Shukra:

“Tu or se’ vecchio, o Sire; ma fa che tua vecchiezza in altro passi, e ancor giovin potrai tu divenire”.

Disse Yayati:

“Gloria e impero avrassi qual dei miei figli voglia consentire la mia vecchiezza a tòrsi, e i suoi fiorenti anni a darmi, se tu ne lo consenti”.

Yayati convoca allora i suoi cinque figli e promette l'impero a chi tra questi avesse accettato di prendere la sua vecchiaia e di restituirgli per mille anni la gioventù, della quale egli ancora non era sazio. Ma tra questi solo il figlio più giovane, Puru, il più saggio e il più distaccato dai piaceri mondani, decide di accettare la richiesta per amore del padre. Disse Puru:

“Io son pronto ad eseguire quel che comandi; tosto su me prendo la tua vecchiezza; e tu prenditi, o Sire, la giovinezza mia, pur proseguendo ogni oggetto qual sia del tuo desire; fatto il cambio, a portar ben son io inteso, come tu vuoi, di tua vecchiezza il peso”.

Così Yayati in un momento torna giovane e nello splendore e fiorire della giovinezza trascorre lunghi mille anni. Ma dopo questi mille anni cosa succede a Yayati? Succede che nonostante tutto questo tempo, il godimento della gioventù non lo ha saziato per niente. Si sente vuoto e insoddisfatto più di prima, perché il semplice godimento di ciò che è materiale non porta soddisfazione al nostro vero sé, anche se ne potessimo godere all'infinito.

La storia di Re Yayati ricorda quella del Faust di Goethe che, in cambio di ventiquattro anni di assoluto piacere e dominio della materia, vende la sua anima al diavolo; nella nostra tradizione diremmo: vende la sua anima alla prakriti.

Tra un mese, dice Mefistofele a Faust, tu diventerai esclusivamente mio, ma Faust in quei ventiquattro anni non aveva conseguito niente di reale valore: era sì diventato famoso, potente, aveva goduto come nessun umano può neanche immaginare, ma ciononostante nel suo cuore era tremendamente infelice.

Ma qual è la differenza tra Re Yayati e Faust? Poiché Yayati in quei mille anni aveva goduto dei piaceri dei sensi nel rispetto del dharma, allo scadere di quel tempo si rende finalmente conto che quei piaceri erano solo e soltanto illusori. Chiama allora suo figlio Puru, gli restituisce la gioventù e gli mostra il suo grande apprezzamento perché prima di lui aveva capito che l'unica cosa che conta e che veramente ha valore è la realizzazione spirituale.

Dopo quei mille lunghi anni, Yayati decide di diventare un asceta, va nella selva e conduce una vita di grandi rinunce. Sviluppa così l'umiltà, la tolleranza, il rigore ascetico, la purezza e finalmente nel cuore realizza una profonda, intensa e crescente gioia, come mai aveva provato in quei lunghi anni di piaceri mondani.

Impariamo dalla storia di Re Yayati e cerchiamo di guardare al mondo esterno con distacco, perché di per sé esso non ci può dare nessun appagamento. Se solo comprendessimo appieno questa grande lezione che ci offre il Mahabharata, diventeremmo mille volte più ricchi dei più potenti di questo mondo. Non è la fama presso gli stolti che ha valore, ma quel che veramente conta è la fama che si ha presso i saggi.

Shri Krishna

Secondo gli Shastra, il piacere non è proibito, ma occorre ricercare il piacere vero: quello che nutre il nostro sé, l'anima. Come spiega la Bhagavad-gita (V.22), il godimento di ciò che è mondano in realtà non è piacere, è invero fonte di sofferenza, ci avvinghia all'illusione, a ciò che è soltanto temporaneo, e ci trattiene come schiavi nel mondo di morti e rinascite, perché ci fa identificare con ciò che non siamo.

Se il piacere mondano è ricercato nel rispetto del dharma, questa aderenza al dharma evita che la persona si degradi, ma comunque l'attaccamento a quel piacere produce un ristagno, blocca l'ascesa e la crescita spirituale. Nel bestiario dantesco il piacere così ricercato è rappresentato dalla lonza, che non attacca ma seduce e che in ogni caso non ci permette di salire al bel colle illuminato. Dunque, chi è attaccato al piacere dei sensi, anche se tenta di soddisfarlo rimanendo nel dharma, non riesce a liberarsi dall'illusione, dal ciclo di nascite e morti e permane in questo mondo in cui il piacere inevitabilmente si alterna alla sofferenza.

Le persone più evolute, dice Krishna nella Bhagavad-gita, voltano le spalle a quelle lusinghe di piacere e si affidano a Me: così ottengono il Bene vero eterno.

Un insegnamento grande che troviamo in questa parte di Mahabharata è quello racchiuso nella frase seguente che può essere definita un mahavakya:

“Ma alcun giammai non spegne, col godere la cosa desiata, il suo desio: ma come il foco ei fassi ognor più grande, sui cui il burro liquido si spande”.

Nessuno mai ha spento il desiderio con il godersi la cosa desiderata. Folle è colui che crede di levarsi la sete bevendo acqua di mare. Folle chi crede di spegnere il fuoco versandovi sopra del ghi, dice qui Re Yayati. Anche se uno avesse tutto il riso, tutto il frumento, tutti gli armenti del mondo, se anche tutte le donne fossero di un solo uomo, non farebbero un uomo solo davvero felice.

“Ben si tronchi il desio, fonte di guai”.

Perché quel desiderio per le cose mondane, se non viene superato e trasceso, diventa sempre più fuoco ardente che logora e distrugge. Il fuoco degli attaccamenti, delle aspettative, delle pretese.

“Questo intimo furor, estro, tormento, coll'uomo che invecchia non invecchia mai; è una febbre mortale. Oh appien felice cui quaggiù di guarirsene pur lice”.

Kama è quel fuoco che ci logora e mai si spegne.

É una febbre mortale.

E' persona savia, sana, saggia, chi quaggiù ne vuol guarire.

“Dietro i vani piacer, che in sé raccoglie, l’avido senso, mille anni ho trascorsi; e ognor più acute rispuntar mie voglie, Quanto più paghe le rendea, mi accorsi. Or l’anima convien che se ne spoglie, che con l’Eterno ignuda vuol raccorsi: che io vada nelle selve è giunta l'ora, a far colle gazzelle mia dimora.”

Qui è l'esperienza di Re Yayati che ci parla e che finalmente può diventare anche nostra, affinché noi possiamo evitare tanti sbagli nella vita, per non trovarci un domani – magari anziani e senza più forze - a pentirci di ciò che non abbiamo fatto.

“Or l'anima convien che se ne spoglie”: l'anima deve spogliarsi del desio mondano, affinché libera dagli attaccamenti, possa raccogliersi nell'Eterno. Affinché, come dice Yayati, possa scoprire che al mondo non c'è più bella compagnia di queste quattro cose rare: l'amicizia, la dolcezza nel parlare, la compassione, la carità. Affinché possa capire che tutto riacquista senso solo se ci dedichiamo all'amore puro per Dio e per ogni essere.

Questi insegnamenti appartengono alla filosofia perenne! È sufficiente uno di questi diamanti per rimanere ricchi per il resto della vita.”

 

Con affetto,

vostra servitrice,

Madhavipriya dasi

P.S. La traduzione del Mahabharata dalla quale Guru Maharaja ha letto è la seguente: Michele Kerbaker, in Scritti Inediti: Il Mahabharata Vol. II, Roma, Reale Accademia D'Italia, 1933.

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