Tecnologia del santo Nome e i rapporti tra i vari livelli di psiche e coscienza
Per millenni i saggi indiani hanno portato avanti studi profondi e vasti sui rapporti intrapsichici dell’essere umano, conseguendo una conoscenza e una specificità di linguaggio così alte, da permettere loro di sperimentare con successo livelli straordinari di coscienza e di descriverli compiutamente. Negli Yogasutra di Patanjali, antico trattato di psicologia del profondo e di realtà metafisica, viene descritto un tipo di meditazione denominato sabija samadhi (samadhi con seme o tema). Esso comporta la visualizzazione e la presa di coscienza di un livello superiore di realtà ottenuto mediante la meditazione su di un mantra.
Fin dai tempi prestorici delle Samhita vediche i mistici, i saggi e i teologi vaishnava hanno attribuito immenso valore alla realizzazione spirituale attraverso il suono sacro, Shabda-Brahman, rappresentato principalmente dalla recitazione e dalla meditazione sui Nomi divini; tale pratica è definita Nama-smarana e costituisce, in questa tradizione, l’essenza di tutte le attività religiose, nonché l’esercizio spirituale più signi cativo per il ricercatore spiritualista, il bhakta. Nella tradizione mistica vaishnava della Caitanya- sampradaya, il bija è costituito dal maha-mantra.
Le esperienze a livello nama, cioè a livello della conoscenza verbale, a livello rupa (forma) ed a livello rasika, il livello proprio delle emozioni e dei sentimenti, attivano delle vritti che, a loro volta, innescano un ricordo costituito da emozioni e pensieri dai quali residua un’impressione nella memoria, una traccia duratura detta samskara.
Questi samskara finiscono negli archivi della mente, a volte in forma cosciente, altre volte nell’inconscio. L’intrattenersi con concentrazione deliberata (dharana) nell’Hari-nama è il trattenersi nel campo mentale di una vritti. Sul piano cosciente la vritti crea una configurazione mentale che determina un complesso di samskara capace di bloccarne ogni altro di tipo indesiderabile e quindi anche ogni altra “vritti di ritorno”. Le vritti sono modificazioni mentali, e nello specifico si definiscono “vritti di ritorno” quelle prodotte dai ricordi che modificano lo scenario mentale.
La concentrazione sull’Hari-nama potrebbe definirsi concentrazione su una vritti che, in questo caso, essendo l’Hari-nama costituito di pura energia spirituale, manifestazione sonora di Dio, modifica positivamente la psiche in quanto la purifica in profondità ed ampiezza (tra i vari significati di prasadam spicca quello di ‘grazia divina’, ma anche quello di ‘purificazione’).
Il campo coscienziale creato da questa speciale vritti blocca l’affioramento sul piano mentale non solo delle vritti che scaturiscono direttamente dal sensorio in contatto col fenomenico esterno, ma anche da quelle “di ritorno” prodotte dai ricordi i quali, affiorando sia dalla memoria cosciente (smritaya) che da quella inconscia (samskara), provocherebbero ulteriori vritti che costituirebbero un disturbo per la mente, in quanto modificazioni e quindi inopportune distrazioni rispetto al tentativo di concentrazione. Quest’ultima è ovviamente essenziale nella pratica del nama smarana.
Ma come riuscire a capire quando la concentrazione e la meditazione hanno avuto successo?
Quando vengono meno nella coscienza tutte le implicazioni con i condizionamenti dell’io storico. Questo è un segno importante che demarca il passaggio dallo sforzo per la concentrazione alla meditazione sulla realtà trascendente, ovvero quel “guado coscienziale” che dalla dimensione egocentrica porta a quella teocentrica, dal monologo porta al dialogo con Dio. Riassumendo: il samadhi basato sul Nama-smarana potrebbe essere definito una “mono-vritti” dove la concentrazione ha come unico oggetto il Santo Nome, il bija-mantra o maha-mantra, che invade completamente, dominandoli e purificandoli, il campo della mente e della coscienza.
Non si tratta di un’azione volta all’annullamento dell’ambito psichico e coscienziale, ma di una precisa opera di eliminazione di tutte quelle scorie che, intasando la mente, precludono alla coscienza di percepirsi così com’è. La coscienza dunque non si svuota, ma assume i caratteri del metafisico. Il termine sanscrito mantra significa “ciò che protegge la mente”.
La vibrazione sonora del mantra armonizza la mente e la protegge dai pensieri tossici. Quando si è smarriti, negativi, depressi o comunque emotivamente alterati, cantare o recitare il mantra con sincerità può modificare radicalmente lo stato di coscienza e produrre uno stato di serenità, gioia, visione e ispirazione. Il mantra è la forma sonora della verità (satya-rupa) e, nella tradizione vaishnava, il maha-mantra rappresenta la forma sonora di Dio e possiede le Sue stesse potenze.
Ogni sillaba è densa di energia spirituale e può trasformare l’energia psichica, da disecologica in ecologica.
Il Mahamantra si compone di tre Nomi divini: Hara, Krishna e Rama, che indicano rispettivamente l’energia spirituale del Signore, il Suo fascino e la Sua beatitudine. Nel Mahamantra questi tre Nomi sono declinati al caso vocativo, ad esprimere lo spirito d’invocazione in cui dovrebbero essere recitati; ecco come si presentano:
Hare Krishna Hare Krishna
Krishna Krishna Hare Hare
Hare Rama Hare Rama
Rama Rama Hare Hare.
Dopo la purificazione del cristallo mentale, il campo della coscienza può attingere direttamente dal piano della Realtà e si popola di immagini, ricordi, visioni, suoni ed emozioni spirituali, così da consentire la consapevolezza della individualità ontologica o nitya svarupa.