Felicità e Devozione

Se si vuole divenire felici in questa esistenza incarnata, che si sia in cima alla piramide sociale o alla base, giovani o anziani, sani o ammalati, belli o brutti, ricchi o poveri, che si abbiano tante o poche conoscenze, tutto questo è relativo. Ciascuna delle suddette condizioni è un elemento temporaneo di facilitazione o di ostacolo, ma nessuna di esse è in sé causa o impedimento della reale felicità, la quale, essendo patrimonio ontologico dell'essere, dipende dalla nostra consapevolezza spirituale la quale si rende accessibile in concomitanza dell'uso che facciamo dei nostri talenti e delle nostre risorse, quali che siano, se li mettiamo o no al servizio di Dio, delle sue creature e del creato.

Se abbiamo un merito o delle qualità da offrire a Krishna in spirito di devozione, in assenza di pretese egoiche, con un’attitudine sobria e senza orgoglio, tale attitudine gradualmente ravviva la nostra consapevolezza spirituale e torniamo a percepire la nostra felicità. Diversamente, ogni offesa nei confronti del Creatore, delle creature e del creato, danneggia la nostra evoluzione e oblia il nostro stato di felicità. 

Il paradosso è che l’essere, pur essendo felice per costituzione, voltando le spalle a Dio e calpestando il dharma, può dimenticarsi di esserlo (Bg. XV,15). Questo è il caso di tutte le persone che egoisticamente cercando il loro benessere mostrano insensibilità nei confronti degli altri vivono uno stato di sonnolenza spirituale e dimenticano la propria natura costituita di sapienza, eternità e felicità. 

Ogni autentica tradizione spirituale asserisce che l'essere aspira a quella felicità e amore nella sua più alta espressione e che, delle innumerevoli forme di felicità e d'amore le più elevate sono quelle spirituali, che si sperimentano in una coscienza di eternità e Sapienza nella fervida devozione e abbandono al Signore Supremo.

Matsyavatara das