Dal Timor di Dio all'Amore per Dio
Siamo a Silea, presso il Centro Karuna.
Shriman Matsyavatara Prabhu ci sta offrendo insegnamenti di grande valore.
Ecco un estratto in diretta per voi.
Shriman Matsyavatara Prabhu:
Che cosa dà all'uomo la forza di rialzarsi dopo innumerevoli cadute, sconfitte, errori che ha compiuto?
La speranza, dice il proverbio, è l'ultima a morire. E io l'ho corretto nel modo che segue: la speranza non muore mai.
La speranza ha sorretto tante persone nel loro viaggio periglioso.
Ma che cos'è la speranza? Che senso ha per noi?
E noi chi siamo?
Per comprenderlo riflettiamo sul fatto che non possiamo sentirci completamente appagati soddisfacendo le sole necessità corporee. Se non fosse così, non sarebbe esistita la filosofia che non risponde a bisogni materiali. La filosofia offre risposte su ben altri piani ma è anche di queste risposte che l'uomo necessita e ancor più della filosofia le offre la realizzazione spirituale.
La religione senza la filosofia sarebbe pericolosa perché scadrebbe nel sentimentalismo e nel fatalismo, e la superstizione penetrerebbe la religione senza la possibilità di tener separate queste due realtà: l'una luminosa (la religione) e l'altra tenebrosa (la superstizione).
Di contro la filosofia senza la religione resterebbe un qualcosa di arido. L'intelletto che non accede al sacro è come una bestia che si muove velocemente ma chiusa in gabbia.
Esiste la struttura fisica (il corpo), quella psichica-intellettuale (la mente e la buddhi) e poi l'essere spirituale eterno che siamo noi, il purusha, l'atman.
L'essere vivente imprigionato nella struttura energetica psichica vaga da un corpo ad un altro, ma la sua natura è oltre la materia grossolana e sottile.
Quando ero un bambino guardavo ammirato i portoni dei palazzi antichi, con possenti cariatidi di pietra, e chiedevo: ma chi ha costruito questi palazzi, dov'è ora?
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Tutti siamo forzati ad uscire dai corpi e a lasciare quel che abbiamo costruito in questo mondo. Ma se da una parte lo si lascia, è pur vero che le opere non si staccano dal loro autore.
Nel Bhagavatam è detto che come un vitello riconosce la propria madre tra centinaia e centinaia di vacche, così le azioni che abbiamo fatto ci seguono, ci stanno sempre appresso con le loro conseguenze. Se abbiamo aiutato una persona, quell'aiuto ci sta appresso. Se abbiamo danneggiato una persona, quel danneggiamento ci sta ugualmente sempre appresso.
Quando i catarri in vecchiaia occludono i polmoni, quando non si riesce a respirare senza un sibilo, quando non si riesce più a scrivere perché la mano trema, allora il ricordo del tempo perduto o mal investito quando avevamo energie, intelletto e la possibilità di compiere un salto evolutivo, è il carico più pesante da portare. Però c'è anche il rovescio positivo della medaglia: tutto quel che abbiamo donato consapevolmente è nostro per l'eternità, tutto quel che abbiamo fatto per aiutare gli altri anche quando ci appariva una partita persa e nonostante tutto abbiamo assecondato quel filo di volontà e di interesse che nel nostro interlocutore avevamo intravisto per sottrarsi ad un destino oscuro, quello sarà il nostro sollievo più grande nei momenti bui della vecchiezza decrepita. La speranza così diventa fede, certezza, sostegno che mai ci abbandona.
Tutti almeno teoricamente sappiamo che la vecchiaia è una patologia dalla quale non si può guarire. Inevitabilmente ci ritroviamo ad essere sospinti verso la conclusione del viaggio umano. La vita [incarnata] è un viaggio. La conoscenza è il mezzo [e c'è chi ha buoni mezzi e chi ha pessimi mezzi]. La meta è l'amore. Non lo è diventare persone dotte, erudite, acculturate ma gonfie della loro boria. Se la conoscenza non si trasforma in saggezza e in sapienza, la semplice dottrina senza una vita vissuta in maniera coerente è uno pseudo valore, una falsa ricchezza. Come quei titoli finanziari che cominciarono a crollare come un castello di carte nel 2008-9 e che vennero appunto definiti “finanza tossica”.
Riflettete: come si può vivere accumulando debiti e comprando debiti? Quella finanza tossica non poteva che crollare. Così anche la vita è tossica quando si pensa a costruire solo le cose nel mondo effimero della materia e si tenta di godere e di soddisfare le proprie voglie con la prakriti considerata come fine a se stessa. Ad un certo punto arriva il momento della verità e chi non è saldamente fondato crolla. Il momento della verità arriva con l'esame finale: la morte. Nel momento in cui arriva la Signora Morte quegli pseudo-piaceri e quella pseudo-dottrina non verranno in aiuto. Solo se la conoscenza si è trasformata in sapienza e la sapienza in amore, solo allora il viaggio ci avrà portato a destinazione. Perché saremo divenuti consapevoli che siamo eterni esseri spirituali e che tutto quel che è attorno a noi si trasforma e infine crolla. E' solo questione di tempo, perché tutto nel mondo è impermanente.
La maggior parte delle persone resiste ad una riflessione di tipo esistenzialistico perché si droga di illusione. L'illusione è la causa per la quale non ci si interroga sulle miserie della vita incarnata. L'illusione cessa quando le persone decidono di farsi coraggio e di guardarsi dentro, di affrontare anche gli aspetti sgradevoli della propria personalità, quando cominciano a gettare gli occhi al Cielo perché sentono che da soli non ce la si può fare e magari nel buio della loro stanza riescono a piangere. Non di rabbia, ma un pianto liberatorio, in cui la persona – sentendosi impotente – invoca Dio. Lo stesso Dio al quale magari un tempo aveva voltato le spalle, ubriaca di false soluzioni. Un pianto che alleggerisce il cuore dai tormenti, da un peso antico e ci ricorda il nostro collegamento a Dio, una fiamma che arde nel cuore da sempre.
Grazie a quel pianto vero, sincero, autentico possiamo avere il dono di incontrare in questa vita chi ci può sostenere e dare l'esempio di un modello di vita coerente e così gradualmente ci si alza di quota. E ci si rende conto che la realtà prima non riuscivamo neanche ad intravederla.
Platone dice: l'apparenza s'impone sulla realtà. Le persone non vedono ciò che è ma solo ciò che appare.
Dopo quasi duemila anni, uno tra i più grandi filosofi dell'Illuminismo, Kant, spiega che non è la cosa in sé ma l'osservatore che permette alla cosa di esistere nella coscienza dell'osservatore. Quel che accade è solo una parte del fenomeno, ma l'altra parte – decisiva – è la nostra capacità di osservare/osservarci e di rispondere/reagire e di conseguenza la nostra capacità di apprendere la giusta lezione da quel che ci accade.
In un dibattito con un anziano maestro della psicologia, lui mi diceva: devi sempre guardare qual è il beneficio nascosto collaterale che una persona sperimenta con una nevrosi, perché fintanto che la persona non ne prende consapevolezza e non se ne distacca, non può guarire da quella nevrosi. Dobbiamo dunque aiutare la persona a capire in prima istanza che non è utile barricarsi contro se stessa, rimanendo prigioniera dei propri carcerieri (i condizionamenti annidati nella psiche).
In che modo possiamo liberarci dai condizionamenti?
In che modo possiamo dare agli eventi la giusta risposta?
In che modo possiamo metter mano ai nostri problemi?
In prima istanza imparando a vivere nella prospettiva dell'eternità.
Anche i problemi vanno affrontati nella prospettiva dell'eternità. In questa prospettiva tutto acquisisce tutt'altro peso. Solo quando ci poniamo in questa prospettiva e procediamo dritti verso la meta, l'amore, allora si vede con occhi diversi noi stessi e il mondo, le persone che soffrono o che si esaltano, chi arriva con la nascita, chi parte con la morte.
Vediamo un mondo diverso da come lo vedevamo prima. Un mondo bello, meraviglioso, perché le brutture che si percepiscono sono i retaggi di una mente obnubilata. Di tutto si capisce il senso e il perché. Quando comincia un percorso di ricerca autentica di se stessi, facciamo tante scoperte fino a fare la scoperta più grande: quella di Dio.
Dal timor di Dio all'amore per Dio. E Dio ci ama infinitamente, più di quanto noi riusciamo ad amare od anche solo immaginare il suo amore.
La via per giungere a questo amore (bhakti) ce la descrive Krishna nella Bhagavad-gita, capitolo tredicesimo, shloka da 8 a 12.
“L’umiltà, l’assenza di orgoglio, la non violenza, la tolleranza, la semplicità, l’atto di avvicinare un maestro spirituale autentico, la pulizia, la costanza, il controllo di sé, la rinuncia agli oggetti del piacere dei sensi, l’assenza di falso ego, la percezione che nascita, malattia, vecchiaia e morte sono mali da combattere, il distacco, la libertà dai legami con coniuge, figli, casa e ciò che li riguarda, l’equanimità in ogni situazione, piacevole e dolorosa, la devozione pura e costante verso di Me, l’aspirazione a vivere in luoghi appartati e il disinteresse per la folla, il fatto di riconoscere l’importanza della realizzazione spirituale e la ricerca filosofica della Verità Assoluta — Io dichiaro che questa è conoscenza e tutto il resto è ignoranza.”
Jaya Shrila Gurudeva! Jaya Shriman Matsyavatara Prabhu!
Jaya Shrila Prabhupada!