Cosa vuol dire realizzare la nostra dimensione spirituale
Siamo in diretta dal Seminario sul diciottesimo capitolo della Bhagavad-gita che Shriman Matsyavatara Prabhu sta tenendo a Rimini. La lezione di questa mattina è incentrata sullo shloka XVIII.54, uno dei più importanti di questa meravigliosa opera, sorgente costante di ispirazione per l'anima.
Shriman Matsyavatara Prabhu (Marco Ferrini):
“Che cosa significa realizzare lo stato del Brahman? Significa metanoia, ovvero andare oltre il pensiero ordinario e fare un salto di paradigma: dal credersi mortali a scoprirsi immortali, dal credersi pagliuzze nel torrente del divenire a riconoscersi quale “essere” e non “divenire”, dall'avere una vaga nozione di spirito impastato di materia a percepirsi non più come corpo ma come anima.
Si realizza la dimensione spirituale, il Brahman, quando quella che prima era semplice dottrina, credenza, comprensione astratta intellettuale, diventa realtà vissuta, sperimentata, parte di noi, e noi allora diventiamo consapevoli di essere quella realtà. Krishna ci spiega nella Bhagavad-gita come farne esperienza.
Quando questa esperienza si compie, una sapienza infinita ci pervade e su nulla più vi è dubbio, intendo su nulla di ciò che è essenziale, di ciò che vale la pena conoscere, perchè a quel punto non è più una mera conoscenza nominale ma una consapevolezza che scaturisce da dentro, frutto di una nostra conquista interiore. La conquista della nostra consapevolezza di esseri spirituali eterni. Lo siamo, lo siamo stati e lo saremo sempre anche se di nuovo perdessimo coscienza di esserlo.
La verità non è condizionata dai nostri volubili stati mentali. Se un bambino con il proprio ditino copre il sole, non è che il sole venga effettivamente coperto. Che venga coperto lo crede solo il bambino. Similmente la nostra essenza spirituale permane anche quando noi non ne siamo consapevoli, ma quando ne diventiamo consapevoli sperimentiamo una felicità ineffabile. Perché ineffabile? Perché è una felicità che non dipende da nessuna condizione esteriore. Non è la felicità dell'organo uditivo, della lingua, dei genitali o comunque scaturita da quelle impressioni che hanno una base corporea e psichica e che vengono e vanno con la rapidità di un fulmine lasciando dietro di sé altro che cenere. Nella dimensione del Brahman si sperimenta la felicità ineffabile ed eterna dell'anima.
A volte mentre i sensi banchettano, l'anima patisce la fame. Mentre i sensi fanno festa, l'anima languisce. L'anima è totalmente estranea all'eccitazione e all'euforia prodotte dalle fugaci impressioni del piacere sensoriale e infatti, una volta terminato il fuoco di paglia di quei piaceri, non restano che delusione, insoddisfazione, paura, sofferenza.
La persona che invece realizza la propria natura spirituale eterna, diventa intimamente e completamente appagata. Non si lamenta più, non ha rimpianti qualsiasi cosa le sia accaduta nella vita, perché sa che tutto è stato comunque parte del viaggio e tutto necessario, inclusi gli errori dai quali ha tratto insegnamento. Questa persona è equanime, con tutti benevolente, e senza più bramosie. Perché non c'è vetta più alta della felicità dell'anima.
Brahma-bhuta non è semplicemente aderire ad un'autorità ecclesiastica o scritturale. Krishna esorta Arjuna a sperimentare lui stesso quella verità spirituale che Krishna insegna.
Al momento della morte quel che non abbiamo realizzato resta nei libri e a ben poco serve. Studiare è indispensabile ma non sufficiente. Che cosa allora serve affinché il nostro impegno diventi sufficiente? Occorre che ci sia la nostra partecipazione volontaria, il nostro desiderio intenso di possedere appieno non solo la conoscenza ma anche la scienza, il sapere praticato e realizzato nella nostra vita.
Così come per imparare a nuotare non è sufficiente leggere manuali ma occorre entrare nell'acqua, così, solo praticando gli insegnamenti spirituali possiamo realizzarne l'essenza e la verità.”