La Volontà di rinascere
(Questo scritto si fonda sugli insegnamenti di Shrila Gurudeva ed é frutto della Sua ispirazione)
La fede è una atto volitivo, che richiede coraggio e risolutezza. E’ una volontà sostenuta dal sentimento, non dalla durezza di cuore. Dolcezza e umiltà vengono rivalutate e valorizzate, sebbene dapprima rinnegate come debolezze. E’ un cambio di paradigma che noi scegliamo di fare e che ci rafforza attraverso la devozione. Il coraggio iniziale sta nell’abbandono fidente, nel fare il passo in più verso la sorgente divina. La risolutezza serve per non abbassare mai la guardia, perché è facile lasciarsi ispirare all’inizio, ma ben più difficile mantenere alta l’ispirazione nel tempo.
Possiamo tendere alla perfezione, che sappiamo non far parte di questo mondo; pertiene alla dimensione spirituale. Possiamo cercare di avvicinarci, individuando le nostre fragilità, le nostre incertezze e superarle nel tentativo di trascendere la dualità della dimensione terrena. L’umiltà ci orienta nel nostro viaggio interiore verso la consapevolezza più elevata, evitando d’inorgoglirci. Per sgombrare il nostro cammino dall’orgoglio, dobbiamo innanzitutto sgombrare la nostra mente dai pregiudizi. E’ attraverso la volontà e il pensiero cosciente che possiamo attivare il processo alchemico di trasformazione. Cambiando il nostro scopo esistenziale, l’inconscio opererà a realizzarlo. Le Upanishad spiegano che il comportamento umano non può essere studiato a prescindere dallo scopo ultimo dell’esistenza. E’ un processo di rivelazione e di armonizzazione. La predisposizione d’animo è la premessa per andare al di là dello stato ordinario di coscienza. E’ un atto di volontà a riconoscere i propri limiti ed errori, così come la propria responsabilità in ogni scelta che compiamo, nel progredire o regredire nella vita.
Dagli appunti presi durante una lezione di Shriman Matsyavtara Prabhu alcuni anni fa, ho ritrovato una domanda rivolta al nostro amato Maestro Spirituale: “Come riuscire a padroneggiare tolleranza, compassione ed equanimità per evolvere ad un piano superiore di conoscenza e coscienza?”
Risposta di Shrila Gurudeva: “Quando il devoto è collegato a Krishna, i condizionamenti del passato si sciolgono. Il più grande nemico da combattere è in realtà Kama (il desiderio, la bramosia). Attraverso la Bhakti ci si purifica, così, solo quando Arjuna si dimostra pronto, Krishna gli propone la conoscenza del Sapere Regale. Occorre la fede, non la logica. L’intelletto deve cedere il passo alla fede, la sua funzione è quella dell’asta che permette di fare il salto. E’ solo quando ci evolviamo che possiamo attualizzare il nostro più elevato sentimento d’Amore.”
Il pensiero upanishadico aggiunge: “Nella sua profonda estasi, la persona intona il canto del Divino, che trova in sé stessa”.
E ancora: “In verità si dice anche che l’uomo è fatto di desiderio, ma quale è il desiderio tale è la volontà, quale è la volontà tale è l’azione, quale è l’azione tale il risultato che ne consegue.” Brihadaranyaka Upanishad IV.4.5.
La motivazione viene ancora prima dell’azione e ne determina l’aderenza al Dharma, la legge che sostiene l’ordine cosmico. Il Dharma è la linea di demarcazione per discernere l’agire degradato da quello elevato. Chi sostiene il Dharma è dal Dharma sostenuto, chi non sostiene il Dharma è dal Dharma schiacciato. Il Dharma sostiene tutto. Come possiamo vederne gli effetti? Lo vediamo dalle reazioni in cui le persone incorrono quando lo infrangono. Gli asura sono coloro che non sono luminosi, sono esseri tenebrosi la cui mentalità e la personalità tendono ad azioni adharmya. I deva sono i sostenitori del Dharma. E’ semplice distinguere tra chi opera bene e fa del bene, da coloro che sono malvagi come gli atti che compiono. E’ scientifico: ciò che infrange il Dharma è il male, cio che è armonico è detto Dharmya. Scegliere consapevolmente e liberamente è un atto di volontà, che conduce a un’esistenza luminosa oppure ottenebrata.
Colui che medita sul Brahman acquisisce splendore, sperimenta una libertà illimitata, è deliziato e non ha più rivali. Perché attraverso la realizzazione di Dio, sperimenta la gioia più elevata, la scomparsa di ogni genere di paura e la soddisfazione dei desideri , in Lui sublimati.
Bhagavad-Gita XVIII.54: “Colui che ha riconquistato la consapevolezza della propria natura spirituale diventa felice. Non si lamenta, non ha desideri di possesso ed è equanime verso tutti gli esseri viventi. In questa condizione può servirMi con una devozione pura”.
Attraverso lo spirito della Bhakti viviamo nell’intuizione del divino. E’ la Bhakti che ci accende e ci collega a Dio. E’ attraverso l’applicazione pratica che l’insegnamento astratto comincia a prendere valore. La Bhakti è agire nel mondo e, in questo mondo, possiamo coltivare la nostalgia della perfezione, mentre tendiamo a riconquistarla. Dobbiamo impegnarci al massimo, senza accampare pretese. E’ un impegno a non commettere più errori e, contemporaneamente, a purificarci, distinguendo la diversità di sfumature tra sincerità e purezza nel nostro sentire, pensare e agire. Il devoto non è uno che non sbaglia mai, ma è uno che si corregge quando glielo fanno notare.
Il Guru corregge coloro che si sono resi disponibili, con un libero atto di volontà, a farsi correggere ed educare, oltre che incoraggiare, verso la propria rinascita spirituale.
(Grazie, Shrila Gurudeva, per la Tua nobile presenza che orienta il nostro progredire).
Vostra servitrice, Bhaktin Barbara